sabato 6 marzo 2010

Benvenuti nella Repubblica Italiana delle Banane

di Pietro Orsatti - 6 marzo 2010
Questa mattina gli italiani si sono svegliati in un Paese che è si è chiamato fuori dal contesto delle democrazie occidentali.


Con tre articoli in un decreto legge striminzito che fa carta straccia delle regole e del diritto, il nostro Paese ha abdicato all’autoritarismo aziendalista del padrone del vapore, il miliardario gaudente plurinquisito circondato da “yes man” intenti a raccogliere le briciole del banchetto (o forse sarebbe meglio dire gli avanzi del saccheggio). Ci sono voluti solo 35 minuti di consiglio dei ministri, ieri sera, per varare definitivamente la Repubblica Italiana delle Banane. Riammettendo le liste del Pdl con dei cavillucci da avvocaticchi (termine che usato da un altro collega ha scatenato l’ira del destinatario e una querela milionaria) palesemente e formalmente presentate irregolarmente sia in Lombardia che nel Lazio. Non è stato un gesto motivato da chissà quale “emergenza democratica”. È stato un atto di assoluta arroganza, per umiliare ancora una volta laCostituzione, le istituzioni, la Presidenza della Repubblica. Attenzione, parlo dell’istituto della Presidenza della Repubblica e non dell’attuale Presidente Giorgio Napolitano, il quale, cedendo al ricatto e controfirmando quei tre articoli partoriti proprio da una trattativa fra Palazzo Chigi e Quirinale, ha di fatto abdicato.
Ma c’è un altro dato che nessuno, per ora, ha ancora valutato interamente. Gran parte dell’opposizione ha gravemente sottovalutato quello che si stava realizzando. Non credevano che il governo e la maggioranza arrivasse a tanto. Non credevano, soprattutto, che Napolitano avrebbe accettato di controfirmare. Basta andare a vedere le dichiarazioni di Massimo D’Alema e Walter Veltroni di ieri, che pur parlando di errore lasciano spiragli a una soluzione che non fosse quella del Tar.
E a proposito dei Tar, visto che ancora non si sono espressi sui due casi di Lazio e Lombardia, accetteranno di adeguarsi al decreto “interpretativo” o continueranno a seguire alla lettera le norme indicate dalla legge elettorale? Legge elettorale che tuttora è e rimane in vigore, visto che il decreto non emenda ma solo interpreta la normativa. Staremo a vedere. Con ben poche speranza.


Tratto da: orsatti.info




giudice denunciata per ABUSO D'ufficio.wmv


Premiata ditta Verdini & Co. -Peter Gomez

6 marzo 2010
Gli interventi del coordinatore del Pdl su Matteoli per truccare un appalto da 260 milioni di euro a Firenze

Alla fine la fotografia precisa della situazione l’ha scattata lui, il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli. A Riccardo Fusi, il big boss della Baldassini Tognozzi Pontello (Btp), che il 5 agosto del 2008 chiedeva una mano per arrivare ad aggiudicarsi i lavori per la costruzione della scuola dei marescialli dei carabinieri a Firenze, Matteoli dopo i convenevoli dice per telefono: “Il tuo complice è già in vacanza però”. Il riferimento è tutto per il corpulento coordinatore del Pdl Denis Verdini, in quei mesi impegnato a testa bassa per far ottenere a Fusi quella commessa da 260 milioni di euro. Verdini, azionista de Il Foglio e presidente del locale Credito cooperativo, usa infatti la politica per fare affari. Nel partito, raccontano gli atti dell’inchiesta sulla cricca della via della Ferratella, lo sanno un po’ tutti. Alcuni parlamentari anzi partecipano con Verdini a incontri in cui si discute di appalti e favori.

Ma è in riva all’Arno che Verdini, con l’aiuto (“non penalmente rilevante” dice il giudice) di Matteoli, compie il suo capolavoro. Fusi che è suo amico da quando i due avevano i pantaloni corti ha un bisogno disperato di lavorare. La
Btp è sì la settima impresa di costruzioni italiana, ma è molto esposta (900 milioni) con le banche. Insomma deve fare cassa. E una delle strade per rimpinguare i suoi bilanci passa proprio per la scuola dei marescialli. L’appalto è già stato assegnato all’Astaldi (vedi articolo a pagina ? 4? ) che ha pure già aperto i cantieri. Ma non importa. Perchè la politica può tutto. Grazie al rapporto diretto con Matteoli, Verdini riesce a far nominare nel gennaio del 2009 uno degli uomini della cricca, Fabio De Santis, provveditore delle opere pubbliche per l’Italia centrale. De Santis non ha i titoli per ricoprire quell’incarico. È solo un dirigente di seconda fascia. A Porta Pia, sede del ministero delle Infrastrutture, i suoi colleghi più titolati protestano. Qualcuno di loro pensa ancora che meritocrazie e regolamenti contino qualcosa. E così, come dice per telefono Claudio Iafolla, il capo di gabinetto del ministro Matteoli, “rompono i coglioni”. Ma l’affare si deve fare, il ministro firma e la nomina arriva.

Tanto che De Santis, il 21 gennaio, scrive a Verdini in un
sms: “Grazie di cuore”. Il coordinatore del Pdl, non lo sa ancora, ma è in quel momento che le cose per lui cominciano a mettersi davvero male. L’accusa di concorso in corruzione, da cui si è già difeso il 23 gennaio scorso in un interrogatorio davanti ai pm di Firenze durante il quale ha finito per ammettere tutto (“pensavo di fare un favore a un amico” si è giustificato Verdini) ruota intorno alla nomina fuorilegge di De Santis. Per i magistrati il funzionario infedele in questo caso non ha ricevuto mazzette, ma si è fatto comprare in cambio dell’anomalo avanzamento di carriera. E poi si è messo a completa disposizione di Fusi e dei suoi amici. Verdini nel suo interrogatorio, sostiene però (in contrasto con quanto risulta dalle intercettazioni) di non aver ben capito perchè la nomina di De Santis fosse tanto importante.

Dice di aver solo intuito che la questione era “legata alla caserma dei marescialli dei carabinieri”. Ma che, in fondo la raccomandazione era per lui un fatto normale. “Sa”, spiega, “io ho un ruolo centrale nella politica... Ho fatto una telefonata al ministro che stava facendo le nomine, sostenendo la cosa. Me l’aveva chiesta Fusi, ma non posso dire di non averne parlato, per esempio, con il senatore
Cingolani, della Commissione lavori pubblici, e con altri parlamentari, perché sono cose di cui si parla”. Una giustificazione che, come sottolinea il gip Rosario Lupo, anche a volerne “dare una lettura benevola fa riflettere sulla scarsa consapevolezza da parte di soggetti che ricoprono cariche pubbliche e comunque ruoli pubblici molto rilevanti circa la negatività delle raccomandazioni specie quando queste riguardano posti di potere e, come nel caso di specie, non dei natura politica, ma tecnica”. Fatto sta comunque che De Santis il suo lavoro (sporco) lo sa fare bene. L’obiettivo è quello di sfilare alla Astaldi l’appalto della scuola. Ma per raggiungerlo è prima necessario fermare i cantieri.

Per questo al provveditorato viene affidata la responsabilità dell’opera, nasce una commissione (di cui De Santis fa parte) che deve giudicare sulla bontà del progetto e il funzionario arriva a rimuovere dall’incarico
Benedetto Mercuri, un dipendente pubblico onesto che si oppone inutilmente alla sospensione. Mercuri tenta di convincere De Santis a recedere dall’idea: “Lì ci stanno 350 operaio che saranno messi in cassa integrazione”, implora. Niente da fare. E il risultato, come finisce per ammettere proprio De Santis in un’intervista, è uno smacco per i contribuenti.

L’operazione in favore di Fusi e Verdini costa. Si rischiano di pagare penali. E così anche se lo stanziamento resterà di 260 milioni di euro il progetto dovrà per forza essere rivisto in modo che la spesa non superi i 200, perchè il resto se ne andrà in risarcimenti. Il coordinatore del Pdl viene costantemente tenuto al corrente da Fusi sugli sviluppi della vicenda. Diventa persino amico di
Angelo Balducci, l’ex braccio destro di Guido Bertolaso, ora in galera. E continua a fare pressioni su Matteoli. Tra Fusi e il ministro, Verdini fissa anche un incontro. Al termine del faccia a faccia l’imprenditore racconta euforico: “Sono uscito ora, si è fatto un programma”. Ma questo, dice il giudice, non è un reato. È solo, diciamo noi, una schifezza.

LEGGI:
Dennis chiama Angelo. Riccardo chiama Altero. Tutti pensano alle Grandi Opere di Antonio Massari

da
il Fatto Quotidiano del 6 marzo