mercoledì 21 marzo 2012

Ior – JP Morgan, la Procura di Roma indaga sul conto tedesco



Dopo la chiusura di quello aperto a Milano, considerato ormai troppo “a rischio” di subire controlli antiriciclaggio, anche il conto acceso dallo Ior presso la filiale di Francoforte della JP Morgan è finito nel mirino della Procura di Roma. Lo rivela Marco Lillo in un articolo pubblicato oggi dal Fatto Quotidiano.
Sembra proprio che la banca vaticana sia incapace di condurre la propria attività senza incorrere nelle attenzioni della magistratura. Ad attirarne l’attenzione è stato proprio il fatto che il conto milanese venisse azzerato ogni giorno, con relativo trasferimento del saldo creditore alla consorella tedesca. Lillo lo definisce “il cavallo di Troia attraverso cui lo Ior opera(va) in Italia”. Senza, fino a poco tempo fa, subire seri controlli sull’operatività svolta.
Peccato che, scrive ancora Lillo, lo Ior spesso operasse non come una banca ma, piuttosto, “come una vera e propria società fiduciaria che scherma la reale proprietà dei fondi sui conti correnti”. Grazie a questa sorta di sistema-Madoff, ogni specie di operazione poteva dunque essere ‘nascosta’ grazie alla collaborazione della banca vaticana. Tanto che il “caso di scuola”, come lo definisce Lillo, “è quello dei nove bonifici per 225 mila euro partiti da un conto IOR e destinati a un gruppo di catanesi vicini alla mafia”.
La decisione dello Ior di spostare la propria attività bancaria in Germania sembra però essere stata vincente: le autorità giudiziarie tedesche hanno sinora negato la loro collaborazione a quelle italiane. La decisione della banca vaticana rischia però di avere comunque un risvolto negativo, convincendo le autorità di controllo internazionali che nei Sacri Palazzi si cerca di fare soltanto il minimo indispensabile in materia di trasparenza bancaria. Con il risultato di rischiare di essere inseriti nella blacklist dei ‘paradisi fiscali’.

Chi è il padrone dei 'voli blu.' - di Gianluca Di Feo



A Palazzo Chigi, da quasi 30 anni, c'è un potentissimo funzionario che decide tutto sugli aerei di Stato: quali apparecchi comprare, quali politici possono prenderli, quando imbarcare anche i parenti, gli amici, le ragazze. Ecco la storia fantastica di come vengono gettati al vento (letteralmente) i nostri soldi.


E' il boiardo dei voli di Stato, che da oltre venticinque anni decide chi può decollare con gli aerei blu: l'uomo che ha dato le ali alla Casta. La sua torre di controllo è un ufficio di Palazzo Chigi, dove si è insediato nel 1985 grazie alla fiducia di Bettino Craxi e dove Mario Monti lo ha appena confermato: un dinosauro della Prima Repubblica, che continua a sfrecciare attraverso le legislature.

Il padrone dei cieli si chiama Raffaele Di Loreto, 64 anni: un funzionario dalla tripla vita e dai tripli privilegi. E' un pensionato dell'Aeronautica militare, un dirigente della presidenza del Consiglio e l'amministratore della compagnia aerea più misteriosa, quella dei Servizi Segreti. Mentre episodi drammatici sullo scacchiere internazionale, come il blitz britannico in Nigeria in cui ha perso la vita l'ingegnere Franco Lamolinara, portano governo e Parlamento a interrogarsi sull'efficienza dell'intelligence, "l'Espresso" è in grado di raccontare la storia della squadriglia top secret degli 007. Una pattuglia che è costata quasi 40 milioni di euro solo nel 2010.

Tutto deciso da Raffaele Di Loreto, il comandante dai tripli benefit, che ne fanno uno dei nomi più ricchi della pubblica amministrazione con poco meno di mezzo milione di euro l'anno. E persino doppia auto blu: un'Audi con due carabinieri-autisti a carico di Palazzo Chigi e una Bmw 530 con chaffeur pagata dall'Air Spioni. Poca cosa per l'uomo che ha potere assoluto sulla flotta di Stato: è lui che compra tutti i jet destinati alle autorità, firmando in beata solitudine contratti con sette zeri per Airbus e Dassault. La sua ultima prodezza è rimasta mimetizzata fino ora: a dicembre 2010 ha acquistato due Falcon Lx, il massimo del lusso ad alta quota. Dovevano allietare i viaggi più discreti di Silvio Berlusconi, con comfort e sfarzo degni di uno sceicco, ma sono stati consegnati poco prima delle dimissioni del Cavaliere. Mentre la spesa graverà a lungo sulle tasche dei contribuenti: circa  80 milioni di euro.

Il suo volo cominciò tanto tempo fa: Di Loreto, dopo gli esordi sui caccia, passò a pilotare il Dc9 presidenziale di Craxi che nel 1984 lo inserì nel suo staff di premier. L'anno successivo, la presidenza del Consiglio ingaggiò un braccio di ferro con l'Aeronautica militare per farlo promuovere colonnello a tutti i costi: un decreto firmato da Ciriaco De Mita sancì che la scrivania di Palazzo Chigi valeva come il comando di uno stormo con decine di intercettori supersonici e migliaia di avieri. Incassati i gradi, è passato nei ranghi della dirigenza civile. Dei suoi trascorsi militari pare gli sia rimasta solo l'abitudine a dire "signorsì": quando un ministro o un sottosegretario hanno bisogno di un passaggio celeste, lui è sempre pronto a mettersi a disposizione. E' stato lui ad autorizzare il circo volante dell'era berlusconiana, con ballerine di flamenco, olgettine assortite e cantanti napoletani che affollavano la navetta Roma-Olbia al seguito del premier a Villa Certosa. Grazie a Di Loreto nessuno restava mai a terra: sfruttava i suoi superpoteri per trovare sempre un bimotore disponibile, bruciando milioni e milioni di euro. Tutto perfettamente legale, tutto terribilmente caro.

Una stagione d'oro che adesso sembra finita, grazie a una mossa semplice e geniale: Monti ha ordinato di pubblicare sul Web tutti i voli di Stato. Apriti cielo, letteralmente. Appena messo su Internet il primo bollettino mensile, la paura di finire sui giornali ha troncato le ali a ministri e sottosegretari.

Dopo anni di superlavoro, gli aerei del 31mo stormo - il reparto dell'Aeronautica che trasporta le autorità - hanno cominciato a tirare il fiato. Come "l'Espresso" può rivelare, nei primi due mesi di quest'anno ci sono state soltanto 300 ore di volo: nel 2011 erano state 600 e due anni fa, nel massimo tripudio della "folie berlusconienne", ben 900. Tanto che ora Palazzo Chigi spera di risparmiare oltre 23 milioni da questa sforbiciata a carburante e manutenzione.

Ma ci vuole più dei professori per abbattere Di Loreto, che offre ai patiti del jet a sbafo una soluzione molto discreta: l'hangar degli 007. Oggi il bar del terminale vip di Ciampino, dove un maresciallo serviva anche cento caffè al giorno per i ministri e la loro corte, è deserto mentre poche centinaia di metri più in là sottosegretari e parlamentari fanno la coda per salire sulla flotta più segreta: quella della Compagnia Aerea Italiana, omonima della nuova Alitalia ma molto più antica. 

Come spesso accade in Italia, si tratta di un'ottima idea gestita male. La Cai dei Servizi venne creata nel 1969: un paio di aerei, pochissimo personale superselezionato per ottimizzare costi e riservatezza. Nella stagione dell'ammiraglio Fulvio Martini quei jet anonimi erano il simbolo della nostra politica estera più efficace e venivano guardati con rispetto nelle piste del Mediterraneo. Poi con la fine della guerra fredda è arrivata l'ora delle zarine e delle barbe finte intrallazzone: uno strumento di intelligence è stato trasformato in taxi per baroni e politici. Di fronte a tanta ingordigia, nel 1997 il primo governo Prodi decise di chiudere la baracca ma poi si rese conto che - se usato per gli scopi istituzionali - quel minuscolo stormo era indispensabile. Infine nel 2005 è arrivato alla cloche Di Loreto e la musica è cambiata. Anche gli aerei degli 007 sono stati spremuti per assecondare l'insaziabile voglia di azzurro dei governanti, a cui non bastavano le squadriglie del 31mo stormo. Due anni dopo, lo scandalo della gita in Airbus al Gran Premio di Monza di Clemente Mastella e Francesco Rutelli - rivelata da "l'Espresso"- aveva convinto il sottosegretario prodiano Enrico Micheli a sbarrare l'hangar: per il boiardo volante sembrava arrivata l'ora della pensione.

Invece con il ritorno del Cavaliere, Di Loreto ha moltiplicato poteri, acquisti e decolli: lui ordina, l'Aeronautica deve obbedire. Ma il un suo feudo personale è la Cai. Da anni la compagnia dei Servizi è una spa: formalmente registrata come una società charter per non tradirne la vera natura. I bilanci vengono approvati negli uffici distaccati di Palazzo Chigi, mentre gli atti raccontano la storia ufficiale del vettore di copertura. Con alcune scelte che lasciano sbalorditi, a partire dai professionisti ingaggiati. A presiedere il collegio dei sindaci che devono vigilare sui conti c'è un commercialista con parecchie grane giudiziare: Ascanio Turco, studio a Matera e buone entrature nella capitale, è stato condannato in primo grado a due anni e sei mesi di carcere per il crac della Hdc del sondaggista berlusconiano Luigi Crespi ed è finito nei guai in Molise per una storia di regali agli ispettori del Fisco. Per carità, nessuna sentenza definitiva: ma forse l'intelligence dovrebbe rivolgersi a figure al di sopra di ogni sospetto. Ed è inquietante rilevare chi è il notaio che da un decennio autentica gli atti della Air Spioni: Gianluca Napoleone, il professionista delle case della Cricca, incluso l'appartamento di Claudio Scajola con vista sul Colosseo. Stando alle indagini, Napoleone ha eseguito il rogito di altri immobili finanziati dal giro del costruttore Anemone, tra cui quello  di un generale dei Servizi.



Di soldi nella Cai ne girano tanti. Il capitale sociale è di 40 milioni, con quote date in pegno a Intesa Sanpaolo. Il fatturato nel 2010 è stato di 28 milioni: ossia quello che lo Stato ha pagato per le missioni segrete dei Falcon. Il gioco della contabilità sotto copertura fa sì che spunti pure un utile di 2 milioni. I dipendenti invece costano poco più di 10 milioni, metà dei quali per gli equipaggi dei jet. Quindi ai contribuenti la gestione della squadriglia top secret è venuta oltre 38 milioni di euro. Spiccano alcune delle voci in bilancio. Anzitutto il compenso di Di Loreto: 149 mila euro l'anno, a cui si sommano i 118 mila dello stipendio di Palazzo Chigi e una cifra simile come pensione da colonnello. Ci sono poi 470 mila euro per consulenze non meglio specificate. Altre 448 mila per soggiorni e alberghi e 190 mila per le auto del personale. In realtà lo staff resta contenuto rispetto alle missioni svolte: 87 operatori; piloti e tecnici d'alto livello, che gestiscono tutta l'attività e la manutenzione della flotta. Numeri che sottolineano l'efficienza della struttura. Il problema è come viene utilizzata. 

Sono stati frequenti i casi di missioni senza senso: trireattori mandati a trasportare una squadra ad Abu Dhabi - il trampolino per l'Afghanistan - fatti tornare vuoti a Ciampino e rispediti negli Emirati a recuperare i passeggeri dopo sole 36 ore. Perché tanto sperpero di carburante? Non conveniva far restare il jet ad aspettare? In genere, questi dispendiosi tour de force sarebbero serviti per mettere l'aereo a disposizione di qualche sottosegretario e scarrozzarlo da Roma a Parma o Imperia. Sul Web si trovano foto dei Falcon dei Servizi sorpresi a Firenze o Napoli, città a un'ora di Frecciarossa dalla capitale: spedizioni sprecone, coperte dal segreto di Stato. 



Altrettanto discutibile è la gestione degli acquisti, interamente nelle mani di Di Loreto: compra e vende a suo piacimento, in un settore dove le commissioni possono arrivare al 10 per cento del valore. A dicembre 2010 la Cai ha fatto una scelta singolare: ha deciso di rimpiazzare il Falcon 900 Ex, un trireattore moderno e lussuoso, in linea da soli nove anni. Aveva davanti oltre un decennio di vita operativa ma è stato sostituito con una versione più nuova, più costosa e più lussuosa: il Falcon LX, sempre della francese Dassault. Dagli atti ne risultano ordinati ben due. Il contratto è nato durante il boom del via-vai aereo berlusconiano, quando le pietose condizioni delle casse pubbliche erano ancora nascoste agli italiani: così si è deciso di buttare via 80 milioni di euro per rinnovare la flotta dei viaggi più riservati.

Difficile fare il punto delle vendite. Stando ai bilanci, nel marzo 2009 sono stati ceduti due vecchi Falcon 50 con una plusvalenza di solo un milione e mezzo. Nel 2010 sono finiti sul mercato due Falcon 900A: solo per revisionarne uno si è speso più di un milione. A gennaio di quest'anno è stato piazzato all'estero anche il moderno Falcon 900EX. Si vocifera che sia stato dato via per poco più di 13 milioni di dollari, contro quotazioni di 18,5 milioni. Solo rumors, perché tutto sfugge ai radar della contabilità pubblica.

Forse oggi con l'austerity che domina a Palazzo Chigi, qualcuno dovrebbe andare a mettere il naso nell'attività della Cai. E magari rivedere le regole dei voli di Stato: restituendo all'Aeronautica il controllo sul trasporto delle autorità ufficiali e facendo sì che gli aerei dei Servizi vengano usati solo per l'intelligence. Quanto al comandante Di Loreto, nessuno contesta la corretteza formale delle sue scelte. Anche se qualche conflitto di interessi lo ha messo a segno anche lui. Nel 2005, di fronte al dilagare dei politici che volevano un posto in cielo, il suo ufficio a Palazzo Chigi fece un contratto da 1,9 milioni per noleggiare i velivoli della Servizi Aerei (Eni): una società dove lavora come dirigente suo figlio. Ma sono piccole cose, rispetto alla montagna di milioni sperperati per voli discutibili e aerei all'ultima moda. Con una passione per gli acronimi. Il più famoso jet degli 007 si chiamava I-FICV, letto come "Fatevi I Cavoli Vostri". E l'ultimissimo lussuoso Falcon da 40 milioni è stato battezzato I-Diem, che ricorda il carpe diem della Casta: pronti a godersi tutto alla giornata, fregandosene del futuro del Paese. 




http://espresso.repubblica.it/dettaglio/chi-e-il-padrone-dei-voli-blu/2176593 

Riforma del lavoro, spaccatura sull’articolo 18 Monti: “Accordo di tutti, ma non della Cgil”.



Vertice decisivo a Palazzo Chigi. Il presidente del consiglio: "Nessuno ha il diritto di veto". Le proposte del governo: "L'articolo 18 resta solo per i licenziamenti discriminatori". La Camusso furente: "L'esecutivo pensa al mercato, ma non alla coesione sociale". Bonanni: "Il giudizio è positivo, la spaccatura con la Cgil è un intoppo".


Trattative a oltranza, incontri bilaterali o collegiali, quasi senza pausa. Per il confronto sulla riforma del mercato del lavoro potrebbe essere stata la giornata decisiva, anche questa conclusa a tarda sera. Nel pomeriggio le parti sociali si sono presentate di nuovo di fronte al presidente del Consiglio Mario Monti e al ministro del lavoro Elsa Fornerodopo il vertice della notte scorsa durato 3 ore. Giovedì è fissato l’ultimo incontro a Palazzo Chigi: in quella sede sarà sottoscritto un verbale, nel quale saranno registrate le posizioni delle parti sociali su ciascuna delle questioni toccate. Dopo il governo porterà in Parlamento la proposta elaborata in questi due mesi di trattative. Con quale forma l’esecutivo deve ancora deciderlo: forse con una legge delega, meno probabile con un decreto, perché la Fornero ha già detto che se i tempi si allungassero si perderebbero gli effetti della riforma.

La proposta del governo ha ottenuto il “consenso di massima” dalle parti sociali, ma non sull’articolo 18. Il presidente del Consiglio fa subito il nome dell’unico partecipante al tavolo che ha detto no: ”Tutte le parti sociali acconsentono alle modifiche dell’articolo 18 che ha proposto il Governo ad eccezione della Cgil”. Per il governo “la questione è chiusa”. Significa che giovedì di questo aspetto non si parlerà. Il premier ha precisato che “durante il lungo percorso della riforma del lavoro compiuto finora ciascuna della parti, sindacati e datori di lavoro, raccogliendo anche l’appello del capo dello Stato, ha deciso di fare qualche rinuncia rispetto ad obiettivi iniziali per raggiungere obiettivi generali come, d’altronde, hanno fatto i partiti”. D’altro canto “massimo rilievo alle parti sociali, ma nessuno ha il diritto di veto” ha chiosato Monti.

Era d’altronde la sfida più difficile, come ha riflettuto Monti: “Pensavo se ci sia una sfida imminente nel campo della politica economica difficile come quella della riforma del mercato del lavoro: probabilmente no, non ci sono cose così irte di difficoltà sociali e tecniche, che solo una forte e femminile determinazione come quella del ministro Fornero poteva affrontare con successo”. Prossimo obiettivo, per il governo, è la spending review, cioè i tagli agli sprechi, “perchè non basta ridurre i voli di Stato o le auto blu, c’è molto altro da fare”.

VIDEO – MONTI: “L’ARTICOLO 18 E’ UNA QUESTIONE CHIUSA”


La riforma secondo Fornero. Il ministro Fornero alla fine dell’incontro ha delineato per l’ennesima volta i contorni il progetto di riforma del governo che ha come obiettivi “meno disoccupazione strutturale, più occupazione soprattutto per giovani e donne e un miglioramento della qualità dell’occupazione, cioè la riduzione del precariato”. Risultati, ha precisato Fornero, che non potranno essere visibili nei prossimi mesi o il prossimo anno, ma nel lungo tempo. Una riforma “complessa. Domani continueremo a lavorare su alcuni dettagli. Se volete una valutazione personale, posso dire che questa riforma ha grandi aspetti di equilibrio”.

Le tipologie dei contratti. Il ministro ha ribadito tutte le proposte del governo in materia di tipologie di contratti, licenziamenti, ammortizzatori sociali; proposte che erano già trapelate durante il vertice. “Vogliamo che un contratto diventi dominante, migliore rispetto agli altri ed è il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”. Il contratto a tempo determinato costerà l’1,4% in più e finanzierà l’indennità di disoccupazione. Oltre a ciò ci sarà un premio per la stabilizzazione. Non solo: dopo 36 mesi di rapporto di lavoro dovrà necessariamente diventare un contratto a tempo indeterminato. “Non vogliamo smantellare tutele, ma rendere meno blindato il contratto subordinato a tempo indeterminato – ha aggiunto – Il contratto a tempo determinato è il contratto dominante, ma gli altri non li buttiamo via”. Insomma il senso è: “Tenere la flessibilità buona e contrastare quella cattiva”.

“Eliminare gli stage gratuiti”. A proposito di flessibilità cattiva il governo intende eliminare gli stage gratuiti: “Dopo la laurea o dopo un master vai in azienda ma non fai più uno stage gratuito, magari sarà una collaborazione, magari un lavoro a tempo determinato ma è un lavoro e l’azienda lo deve pagare”.

L’articolo 18. La modifica delle norme sui licenziamenti è stata da subito  e fino all’ultimo istante il nodo impossibile da scogliere. “Abbiamo scelto una posizione equilibrata – ammette il ministro Fornero – per la quale qualcuno dirà è troppo e qualcuno dirà è troppo poco”. Secondo la bozza del governo la norma cambia nel seguente modo. Per i licenziamenti discriminatori il giudice ordina sempre il reintegro in qualsiasi caso e dimensione di impresa. Diverse le soluzioni per quelli disciplinari: se il motivo del licenziamento è inesistente, per non aver commesso il fatto o per riconducibilità alle ipotesi punibili ai sensi del contratto collettivo, il giudice ordina il reintegro. In altri casi residui se i motivi addotti dai datori di lavoro sono inesistenti, il giudice può indennizzare da 15 a 27 mensilità. Infine per i licenziamenti per motivi economici il giudice dispone un indennizzo da 15 a 27 mensilità. La nuova formulazione si applicherà a tutti i lavoratori. “Mi dispiace molto che la Cgil abbia assunto una posizione negativa – ha spiegato il ministro Fornero – ma la nostra proposta non è contro i lavoratori. Spero che i lavoratori comprendano che è una proposta non contro qualcuno ma perchè vorremmo che il mercato del lavoro sia più dinamico e inclusivo”. La Fornero ha anche riconosciuto “il fatto che la modifica dell’articolo 18 ha un valore simbolico per la Cgil e lo dobbiamo rispettare. Mi dispiace non abbiano detto: su questo no, ma sul resto siamo d’accordo”.

Congedi di paternità e fondi per gli anziani. La riforma del lavoro prevede anche la sperimentazione dei congedi di paternità obbligatori che saranno finanziati dal ministero del lavoro. Questo per “favorire l’occupazione delle donne” e per conciliare i tempi di lavoro e famiglia. Il governo vuole anche mettere in campo “fondi di solidarietà” pagati dalle imprese per il sostegno dei lavoratori anziani che dovessero perdere il lavoro, precisando che non si parla di esodi o di prepensionamento ma solo di “sostegno ai lavoratori anziani” perchè la riforma delle pensioni e quella del mercato del lavoro devono tenersi insieme.

Indennità di disoccupazione. L’Aspi, la nuova indennità di disoccupazione, ha l’obiettivo di essere uno strumento “esteso” e di rendere il sistema “universalistico” spiega il governo. Servirà a tutelare “il lavoratore anche nella ricerca di un nuovo posto” secondo la Fornero. L’obiettivo dei nuovi ammortizzatori sociali è che “il lavoratore non sia lasciato solo nel deserto”. “E’ una filosofia radicalmente mutata – spiega il ministro – Se sarà compresa fino in fondo potrà avere successo. Ma se la applichiamo alla mentalità vecchia e non viene richiesto alcun attivismo al lavoratore, allora potrà avere difficoltà di funzionamento”. L’Aspi, in definitiva, rimpiazza il vecchio assegno di disoccupazione e la sua importanza, secondo il governo Monti, risiede nell’universalità dello strumento a difesa del lavoratore nel periodo di disoccupazione. Una difesa che non è solo monetaria, ma prevede anche e soprattutto l’attivazione di politiche  attive. L’Aspi durerà un anno per lavoratori fino a 54 anni e, in termini di assegno, al massimo potrà arrivare a 1119 euro prevedendo anche un “decalage” del 15% nei primi 6 mesi e di un ulteriore 15% nei casi di lavoratori sopra i 54 anni che avranno una tutela fino a 18 mesi. La cassaintegrazione ordinaria sarà mantenuta, mentre quella straordinaria resterà, ma sarà “ripulita” (parole del ministro), cioè non verrà più assegnata in caso di cessazioni di attività.

Norma contro le dimissioni in bianco. Nella riforma del mercato del lavoro c’è anche una norma contro le dimissioni in bianco.

Confindustria: “Da noi senso di responsabilità”. Senso di responsabilità, adesione all’architettura costruita dal governo, ma molti dubbi. La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia in particolare si concentra sulle ipotesi di indennizzo elaboratore per la riforma dell’articolo 18: “Le ipotesi di indennizzo sono troppo alte. Se vogliamo fare riferimento all’Europa, in Germania ad esempio siamo attorno ai 18 mesi”. E però Confindustria ha aderito “alla mediazione del governo. E’ una posizione meno avanzata di quanto avevamo chiesto ma in una logica di senso responsabilità abbiamo aderito alla proposta del governo”. ”Abbiamo accolto le richieste che ha fatto il presidente Napolitano – aggiunge la Marcegaglia – dimostrando grande senso di responsabilità”. Neanche le proposte del Governo sulla flessibilità in entrata non sono condivise del tutto da Confindustria perchè “c’è irrigidimento e aumento dei costi per le imprese”. Gli industriali, ha annunciato la presidente, lavoreranno per “evitare l’eccesso di costi e di burocrazia”. ”Noi tutti – conclude la Marcegaglia – abbiamo auspicato l’adesione della Cgil, però ora ci aspettiamo che un grande sindacato come la Cgil che ha deciso di non aderire dimostrerà senso di responsabilità”.

Camusso: “Articolo 18, effetto deterrente annullato”. “Una proposta totalmente squilibrata, molto lontana da tutti i suggerimenti dati”. Non poteva dire altro che no la Cgil, così come lo riferisce la segretaria Susanna Camusso. Con la proposta del governo sui licenziamenti “l’effetto deterrente dell’articolo 18 viene profondamente annullato”. Il giudizio è negativo su tutto il fronte. Le dichiarazioni della Camusso dopo il vertice sono molto più severe di quanto si potesse immaginare: ”Tutte le volte che questo governo ha preso provvedimenti, dalla manovra alle liberalizzazioni, gli unici che subiscono le dirette conseguenze sono i lavoratori”. E ancora: ”E’ evidente che l’attenzione che il Governo dedica al mercato non ha un’altrettanta attenzione alla coesione sociale del Paese e alle condizioni dei lavoratori. Questo squilibrio è nei provvedimenti e nell’insieme delle modalità con cui si manifesta. E’ evidente che per la terza volta, dopo la riforma delle pensioni e le liberalizzazioni, i provvedimenti del governo si scaricano sui lavoratori: davvero una strana idea della coesione sociale”.

La Camusso esprime anche qualche rammarico, quasi che nel governo Monti ci credesse almeno un po’: “La responsabilità (riferendosi alle parole della Marcegaglia, ndr) non è mai di qualcuno, responsabilità sarebbe stato costruire una riforma condivisa del mercato del lavoro”.

Nel merito anche se c’è “qualche elemento positivo sulle forme d’ingresso”, la riforma presentata dal Governo non “cancella la precarietà, quella che il ministro Fornero chiama flessibilità cattiva, è solo un primo passo”. ”Il governo non ha mai accettato alcuna modifica” sulla proposta di riforma dell’articolo 18 e ha inserito lo ‘stralcio’ sull’accelerazione processi dei tribunali del lavoro “nella riforma della giustizia e immagino per questo tempi rapidi ed efficaci”. Chiara l’ironia, visto che è verosimile che la riforma della giustizia avrà tempi tutt’altro che brevi. Insomma domani la Cgil riunirà il proprio direttivo per “decidere come accompagnare questa stagione rispetto alla quale faremo tutte le necessarie proposte per essere alle testa di un movimento che riporti il lavoro come tema centrale. Faremo tutto quello che serve per contrastare questa riforma. E non sarà una cosa di breve periodo”.

Resta la nuova spaccatura con gli altri sindacati, Cisl e Uil: “Il fatto che i miei colleghi di Cisl e Uil abbiano condiviso fino a ieri sera un’ipotesi comune e che l’abbiano abbandonata questa mattina è un problema. Il fatto che avevamo una ipotesi comune e l’abbiano abbandonata è un problema”.

Bonanni: “Un verbale per non certificare la spaccatura”. “Abbiamo voluto il verbale per evitare rotture sindacali profonde” che rimanessero su un accordo separato. A chiarirlo dopo il vertice di Palazzo Chigi è stato il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, che al contrario della Cgil si è detto convinto dalla bozza di riforma presentata dal governo. La spaccatura con la Camusso è stato definito da Bonanni un “intoppo”: ”Non voglio commentare questo intoppo” ma “non ci siamo sentiti di fare un accordo separato”. Già tramontata la stagione dell’unità sindacale? “Spero non si ritorni ad un clima teso, che abbiamo già conosciuto negli anni precedenti”.

“Sulla riforma siamo riusciti a tenere una logica – continua il leader della Cisl – Abbiamo tenuto conto dell’appello di Napolitano e anche della richiesta di collaborazione del premier Monti. Siamo riusciti a tenere le linee guida che saranno completate nei prossimi giorni, abbiamo tenuto una logica”. Nella riforma del mercato del lavoro, secondo Bonanni, ci sono interventi “importanti di carattere universalistico” come la stretta sulla flessibilità in entrata e l’avvio dell’Aspi, il nuovo sussidio di disoccupazione. Una riforma da approvare, tanto che sull’articolo 18 “siamo lontani dal punto di partenza del Governo e della pretesa degli imprenditori” (come ha ammesso anche la stessa Marcegaglia). ”Il risultato finale – riflette Bonanni – è che grazie al lavoro di grande mediazione, aiutati anche dai partiti e dall’ascolto del governo possiamo dire che lo strumento anti discriminatorio e anti abuso non solo è stato mantenuto ma addirittura esteso anche alle aziende sotto i 15 dipendenti”. La Cisl si è sentita in definitiva responsabile, soprattutto per “non lasciare solo il Governo a decidere così come ha fatto sulla questione delle pensioni”. Del resto ”la capacità di deterrenza dell’articolo 18 rimane integra”.

Rete Imprese: “Non estendere l’articolo 18″. Prima impressione positiva anche da Marco Venturi, presidente di Rete Imprese Italia (che riunisce Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna e Casartigiani): ”La prima valutazione è positiva anche se un giudizio definitivo lo daremo dopo una lettura attenta del testo”. Tuttavia Rete Imprese si dice contraria alla possibilità che l’articolo 18 venga esteso, in caso di licenziamenti discriminatori, anche alle piccole e medie imprese: “Noi non vogliamo cambiamenti all’impianto attuale. Le ‘pmi’ devono avere flessibilità”.


Una trattativa iniziata due mesi fa. La riforma del mercato del lavoro è arrivata a quest’ultimo round dopo due mesi di serrata trattativa, precisamente 58 giorni. Il confronto è iniziato il 23 gennaio a Palazzo Chigi ed è proseguito tra tavoli ufficiali, colloqui informali e incontri bilaterali.

Pd: “Serve un accordo”, Idv: “Scalpo alla Bce”. Molti dubbi dal Pd, silenzio dal Pdl, sinistra scatenata. La riforma del lavoro ora arriverà in Parlamento e i grattacapo principali saranno per il Pd. ”E’ chiaro che su quel che c’è di buono nell’impostazione del governo e su quel che c’è da migliorare e da correggere, a questo punto dovrà pronunciarsi seriamente il Parlamento” afferma il segretario del Pd Pierluigi Bersani. E l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano (Pd) chiarisce il pensiero sulle modifiche all’articolo 18: “Non condividiamo l’idea di avere il solo risarcimento al lavoratore in caso di ingiusto licenziamento per motivi economici. Noi pensiamo che la reintegrazione debba valere in tutti i casi”. Usa parole che lasciano poco spazio all’interpretazione il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro: ”L’esecutivo rimanda ad epoca lontana i nuovi ammortizzatori sociali, ma interviene da subito sull’articolo 18, trasformandolo in una specie di scalpo da consegnare alla Bce e non certo all’Europa che è ben attenta a non colpire, in questa fase delicatissima, i diritti e le capacità di consumo delle famiglie e dei lavoratori”. Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani, parla di “annullamento di fatto dell’articolo 18″ e con Paolo Ferrero (Rifondazione) invoca scioperi e manifestazioni. La Fiom ha già cominciato da ieri.

Da Fondiaria 40 milioni a Ligresti per “consulenze”. E nessuno ne chiede conto. - di Vittorio Malagutti



Tra il 2003 e il 2010, l'ingegnere ha incassato la somma dal colosso assicurativo che ha portato sull'orlo del collasso. Unipol, candidata al salvataggio, esclude rivalse. Cimbri: "Non siamo l'angelo vendicatore". Quasi due milioni di euro sono andati alle figlie Jonella e Giulia.



Salvatore Ligresti
Sono sempre soddisfatto, sempre positivo, ha detto ieri Salvatore Ligresti a proposito della possibile fusione di Fondiaria con Unipol. In effetti, il costruttore siciliano ha buoni motivi per festeggiare. Ieri per esempio si è appreso che tra il 2003 e il 2010 Fondiaria ha pagato 40 milioni di euro allo stesso Ligresti come “compensi per consulenze”. Mica male, se si considera che il gruppo assicurativo è stato portato sull’orlo del dissesto dalla gestione di Ligresti e famiglia, i quali, grazie a una serie di operazioni in conflitto d’interessi hanno prelevato decine di milioni dalla loro società quotata in Borsa.

Grane giudiziarie in vista, allora? Niente paura. Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol, ha già detto che la sua compagnia non è “l’angelo vendicatore” e quindi, se andrà in porto il salvataggio, non ci saranno azioni legali sui precedenti amministratori. Del resto lo stesso Cimbri ha i suoi problemi giudiziari da risolvere. Il numero uno di Unipol, già braccio destro di Giovanni Consorte, a dicembre è stato condannato in primo grado a 3 anni e sette mesi di reclusione per la scalata a Bnl del 2005.

Tutto a posto, quindi. Meglio far finta di niente. Altrimenti qualcuno potrebbe per esempio chieder conto a Fausto Marchionni, ex amministratore delegato di Fondiaria, del motivo per cui ha assegnato quei compensi milionari al suo azionista di controllo Ligresti senza passare dal consiglio di amministrazione e senza neppure attivare le procedure previste per le operazioni con parti correlate. Questo è quanto emerge dalla relazione del collegio sindacale del gruppo assicurativo che ieri durante l’assemblea ha così risposto ad alcuni dei quesiti posti dal fondo Amber, azionista di Fondiaria.

Lo stesso collegio sindacale adesso si trova in una posizione imbarazzante. Negli anni scorsi, mentre decine di milioni passavano dal gruppo assicurativo ai suoi azionisti di controllo, nessuno di questi professionisti chiamati a vigilare, tra l’altro, sulle operazioni in conflitto d’interessi, si è mai accorto di nulla. Quanto all’ex numero uno Marchionni, lasciato l’incarico di vertice con una liquidazione milionaria, si è visto comunque assegnare dai Ligresti una poltrona da amministratore.

Tra l’altro, secondo quanto si è appreso ieri, il collegio sindacale ha chiesto alla presidente Jonella Ligresti di spiegare le motivazioni che nel gennaio del 2010 la portarono ad assegnare a Marchionni un compenso una tantum di 740 mila euro. La richiesta dei sindaci arriva con un paio di anni di ritardo e solo dopo l’intervento del fondo Amber. Non basta. Si scopre adesso che Fondiaria ha pagato 1, 2 milioni per un’operazione di marketing, durata quattro anni, per una linea di borse “assicurate” di Gilli, la griffe di Giulia Ligresti, sorella di Jonella.

Ridotta sul lastrico, adesso Fondiaria Sai cerca un cavaliere bianco che la porti in salvo. In prima fila c’è Unipol che ieri ha ottenuto dai soci riuniti in assemblea il via libera a un aumento di capitale fino a 1, 1 miliardi. I soldi servono a comprare e rilanciare la compagnia dei Ligresti. Per portare a termine l’operazione non servono “apprendisti assicuratori” ha detto ieri Cimbri, evocando, senza nominarli, il fondo Sator di Matteo Arpe e la holding Palladio. La coppia di investitori, dopo aver rastrellato in Borsa l’ 8 per cento di Fondiaria, si appresta a presentare un piano alternativo a quello di Unipol. Un piano illustrato oggi alla comunità finanziaria.

Dopo mesi di chiacchiere e manovre legali, ieri la sfida per il controllo del secondo gruppo assicurativo nazionale è arrivata a un primo punto di svolta. Infatti, proprio nelle stesse ore in cui Cimbri arringava i soci di Unipol, anche l’assemblea di Fondiaria ha varato un aumento di capitale da 1, 1 miliardi. Non c’è stata battaglia. Sator e Palladio si sono astenuti. Adesso però lo scontro si sposta su Premafin, la holding dei Ligresti (anche questa quotata in Borsa) a cui fa capo il controllo di Fondiaria. Una holding praticamente fallita e che in base all’intesa preliminare raggiunta a gennaio dovrebbe ottenere 400 milioni da Unipol con un aumento di capitale.

Il via libera a quest’ultima operazione tarda però ad arrivare. Unipol teme che i Ligresti facciano melina per negoziare un accordo alternativo con Arpe che insieme a Palladio ha messo sul piatto 450 milioni di aumento (50 in più di Unipol) senza che poi la holding venga fusa con Fondiaria, come invece prevede il piano di Cimbri. Il salvataggio però non può andare in porto senza l’appoggio delle banche e al momento Mediobanca e Unicredit, di gran lunga i maggiori creditori, stanno dalla parte di Unipol.