domenica 26 agosto 2012

Voi siete qui - Finger food per tutti. Ma chi paga? - Alessandro Robecchi



Ogni riga un piccolo brivido, ogni capoverso una vertigine. 
Leggere sui giornali governativi (cioè più o meno tutti) la cronaca del consiglio dei ministri dell’altro giorno è stato un viaggio – a tratti divertente, a tratti deprimente – in un magistrale teatrino dell’assurdo. Tralasciamo qui per carità di patria il provincialissimo ricorso alla lingua inglese, cioè le elucubrazioni sulla spending review (trad: tagli), sull’informal time (trad: Monti si leva la giacca) e sull’ordine alle cucine di procurare per tutti finger food (trad: panini). 
Passiamo invece alla sostanza. 
Il consiglio dei ministri, ribattezzato “seminario”, doveva verificare i numerosi dossier preparati dai vari ministri. In pratica numerose proposte di azione “per la crescita”, contenute in cartelline colorate, che ognuno ha potuto illustrare aspettando la chiosa del ministro Grilli, variabile da “Non ci sono risorse” a “Non facciamo annunci avventati”. Insomma, a leggere le cronache, un lungo rosario di “intenzioni”, “progetti allo studio”, “valutazioni”, “studi di fattibilità”. 
Tutto un campionario di “si potrebbe”, tutto un florilegio di “pensiamoci”, di “verifichiamo”, di “monitoriamo”, che in qualsiasi riunione di redazione, o consiglio di amministrazione, o consesso decisionale verrebbe chiamato col suo vero nome: “fuffa”. 
Esilarante poi, come sempre, l’intervento del ministro Fornero che avanza due proposte. La prima: “Abbassiamo il cuneo fiscale per i giovani anche se capisco che le risorse sono limitate”. Traduzione: sarebbe bello ma non si può. La seconda (occhio, siamo al capolavoro): “Monitoriamo come la riforma del lavoro influisca sull’occupazione”. Traduzione: tutti quelli sani di mente ci hanno detto che questa riforma produrrà povertà e disoccupati, mah, ora che l’abbiamo fatta a colpi di fiducia, vediamo se è vero. Poi, finito il seminario, uno se ne va a far passerella dai ciellini, uno stacca, un altro prende congedo, qualcuno, si suppone, spazzola gli avanzi del finger food. Ah, dimenticavo: ci vorranno più privati alle Poste, nella cultura e nella sanità. Ma chi l’avrebbe mai detto, eh?

http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201208/voi-siete-qui-finger-food-per-tutti-ma-chi-paga/

Fassissta!



"Fassissti! Fassissti del web" ha gridato Gargamella Bersani. "Venite qui a darmi dello zombie se avete il coraggio". 

Fatemi capire, se Bersani viene accomunato a uno zombie politico (tesi supportata dalla sua storia passata e recente) è un insulto gravissimo, se invece Bersani considera il MoVimento 5 Stelle alla pari del nuovo Partito Nazionale Fascista è normale dialettica.

A Bersani non mi sognerei mai di dare del fascista, gli imputo invece di aver agito in accordo con ex fascisti e piduisti per un ventennio, spartendo insieme a loro anche le ossa della Nazione. Anni in cui non c'è traccia di leggi sul conflitto di interessi o contro la corruzione. Violante e D'Alema sono stati le punte di diamante del pdl/pdmenoelle. Bicamerale, garanzia delle televisioni a Berlusconi, concessione delle frequenze televisive all'uno per cento dei ricavi. E lo Scudo Fiscale, passato grazie alle assenze dei pidimenoellini? e le decine di volte in cui il governo Berlusconi poteva essere sfiduciato, ma i pdimenoellini erano sempre altrove?


Nel 2007 sono state presentate tre leggi di iniziativa popolare per ripulire il Parlamento dai poltronissimi (massimo due mandati) e dai condannati e per l'elezione diretta degli eletti: non sono mai state discusse. Chi è il fassissta, caro Bersani? Chi ha ignorato 350.000 firme? Quando mi presentai "in carne e ossa" per la segreteria del pdmenoelle mi fu impedito. Chi era il fassissta, caro Bersani? 

Il MoVimento 5 Stelle ha rifiutato ogni rimborso elettorale, il pdmenoelle non ha mollato neppure l'ultima rata dello scorso giugno perché già spesa. 
Chi fa il fassissta con il finanziamento pubblico abolito da un referendum, caro Bersani? Chi voleva il nucleare "pulito" nonostante un referendum contrario? Io ho girato l'Italia con un camper, a mie spese, per fare campagna elettorale. 
Senza scorta. 
La Finocchiaro con la scorta ci fa la spesa e Fassino il primo maggio. 
Chi è il fassissta, caro Bersani? Lei ha ricevuto 98.000 euro da Riva, il padrone dell'ILVA, a che titolo? 
Chi è il fassissta, caro Bersani? 
Ma si rassicuri, lei non è un fascista. E' solo un fallito. Lo è lei insieme a tutti i politici incompetenti e talvolta ladri che hanno fatto carne da porco dell'Italia e che ora pretendono di darci anche lezioni di democrazia. Per rimanere a galla farete qualunque cosa. A Reggio Emilia si celebra Pio La Torre mentre si tratta con l'Udc di Cuffaro. Amen.

http://www.beppegrillo.it/2012/08/fassissta.html

Legge elettorale, Cicchitto: “Un terzo dei parlamentari con liste bloccate”. - Fabio Amato




Il capogruppo alla Camera del Pdl 'confessa': "I partiti hanno fatto un pessimo uso delle liste bloccate, ma senza di esse una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento". E sulla legge elettorale Buttiglione attacca: "E' pronta da prima dell'estate, ma nella pantomima del bipolarismo non si può dire".

Nella prossima legislatura i big dei partiti torneranno tutti a sedere comodamente sugli scranni del Parlamento. Esattamente come è successo con il Porcellum, così accadrà con la nuova legge elettorale, quale che sia. A dirlo, per una volta, non sono i retroscena di palazzo, ma direttamente il capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto, in una intervista pubblicata sul Mattino: “Un terzo dei parlamentari va scelto dai partiti con i listini bloccati – spiega Cicchitto – certo, delle liste bloccate i partiti hanno fatto pessimo uso, ma senza di essi una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento. Serve equilibrio, non demagogia”.
Giù il velo dell’ipocrisia, Cicchitto ‘confessa’: c’è una intera oligarchia politica che non può permettersi di rimanere a casa solo perché gli elettori non la vogliono più vedere. E pazienza se questo permetterà di mettere in Parlamento le Minetti di turno. Per il resto, il capogruppo del Pdl si mostra “cauto” sull’accordo per la legge elettorale. “Il filo del dialogo non si è mai interrotto ma su alcuni punti qualificanti esistono più opzioni: se il premio andrà al primo partito, come chiediamo noi del Pdl, o alla coalizione, come vuole il Pd, e di che entità sarà, se del 10% o del 15%. Poi, preferenze o collegi oppure una soluzione intermedia tra queste due ipotesi”.
Proprio questi sembrano essere, allo stato, i nodi della trattativa tra i partiti. Un filo, stando alle parole del Pd Enrico Letta, sempre sul punto di interrompersi ma tenuto insieme dal duro lavoro di mediazione: “Se non si cambia la legge elettorale ora – ha dichiarato il vice di Bersani –  il prossimo Parlamento sarebbe l’agonia della Seconda Repubblica. Invece, il prossimo Parlamento deve essere l’inizio della Terza Repubblica. E questo può avvenire solo con un Parlamento eletto dai cittadini”.
Dopo l’ottimismo della scorsa settimana – “l’accordo è vicino, a breve l’annuncio” – il numero due del Pd torna a dubitare per invocare la responsabilità del trio ABC: ”Serve la buona volontà dei partiti maggiori a seguire l’appello di Napolitano. Lo ha detto con forza in questi mesi, richiamando il tema dell’interesse generale. La nuova legge elettorale è per il bene del Paese e serve a recuperare credibilità politica. Ci siamo vicini, ma ognuno deve fare la sua parte”.
A gelare la retorica di Letta di fronte ai microfoni di Tgcom 24, è però intervenuto un altro ex democristiano, l’ex ministro dei Beni Culturali Rocco Buttiglione. Ieri compagno di partito, poi nemico, oggi e domani quasi sicuramente alleato dello stesso Partito democratico, Buttiglione ha buttato acqua sul sacro fuoco della responsabilità politica che da mesi viene continuamente invocato ogni volta che si parla della transizione dal Porcellum a una nuova legge. 
L’accordo sulla legge elettorale – ha svelato Buttiglione – “è pronto da prima dell’estate”, ma non si dice perché in Italia “è ancora in piedi la pantomima del bipolarismo, un sistema per cui gli accordi non si fanno o, se si fanno, bisogna disprezzarli o attaccarli con odio. Una mentalità malata da cui bisogna uscire”. In un’intervista al Mattino, il presidente dell’Udc ha descritto nei dettagli – molti dei quali a dire il vero noti da giorni – i contorni dell’accordo:  “Il sistema elettorale sarà di base proporzionale – spiega Buttiglione – con uno sbarramento nazionale al 5% e all’8% in tre circoscrizioni, premio al primo partito, un terzo di liste bloccate e due terzi di preferenze o collegi”.
Buttiglione ha anche escluso l’ipotesi di elezioni anticipate, “a meno che non venga sconfitta in Europa la linea Monti-Draghi-Hollande-Merkel”. Quanto alla grande coalizione, “molto dipende dal sistema elettorale. Se passa quello di cui abbiamo parlato, che favorisce le aggregazioni ma non le impone, a meno che non vinca nettamente un’alleanza di centrodestra o una di centrosinistra, vorrà dire che è il popolo sovrano a volerla”, dichiara. “Molti che nel loro cuore la vogliono, nel Pd come nel Pdl, ma a parole la negano, sanno che è la sola soluzione possibile. Solo con il Porcellum o con un Super-Porcellum si potrebbe evitarla”.
Con questo sistema, quindi, l’unico nodo resta quello dell’entità del premio da assegnare al primo partito. Il Pd, al momento confortato dai sondaggi che lo vedono attorno al 25-27%, in vantaggio netto sul Pdl, spinge per ottenere un premio del 15% (o più) che garantirebbe controllo su una eventuale coalizione con Udc e Sel e la speranza di avere una maggioranza. Il Pdl vorrebbe mantenerlo più basso, tra il dieci e il 12%, rendendo in questo modo indispensabile un continuo accordarsi delle forze politiche. Con buona pace dei proclami di Alfano - “Silvio vuole vincere e governare” – buoni per dare una idea di competizione.
Del resto, i numeri – che i partiti conoscono a memoria – dicono che con l’attuale grado di sfiducia nei confronti della classe politica, con il nuovo sistema “alla greca” formare una maggioranza in parlamento sarebbe impresa ardua. Il Pd – dicono gli ultimi dati dell’Istituito Cattaneo pubblicati dalla Stampa – ci riuscirebbe solo con una alleanza con Sel e Udc. Solo in questo modo si garantirebbe una quarantina di seggi di vantaggio sull’opposizione. Ma questo renderebbe indispensabile una pace permanente tra centro e sinistra che al momento non si vede. Il centrodestra, di contro, ha tutto da guadagnare da un premio più basso – con buona pace della governabilità – che agirebbe da richiamo della sirena per riportare l’Udc verso il centrodestra. Di certo, numeri alla mano, nessun partito potrà cavarsela da solo. 

Shell: spesi 383 milioni per pagare illegalmente polizia e milizia nigeriana. - Federica Geremia




Una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo, nonché la principale per ricavi, sembra avere grossi problemi di "sicurezza".

Infatti, la spesa di 4 milioni e mezzo per attrezzarsi nella trivellazione dell'Alaska è stata pressoché inutile dato che una piattaforma ha perso l'ancoraggio finendo quasi col toccare le coste della baia di Dutch. E nonostante la Shell abbia minimizzato sull'accaduto, le associazioni ambientaliste hanno imbastito una campagna mediatica mettendo profondamente in ridicolo l'azienda.
Ma il fatto più grave è emerso recentemente quando la Ben Amunwa di Platform, un'associazione londinese che monitora le compagnie petrolifere, ha scoperto che la Shell avrebbe speso 383 milioni in tre anni per "finanziare" polizia e militari nigeriani.
Infatti, tale ricerca ha fatto emergere che la compagnia avrebbe distribuito somme di denaro da 65 milioni direttamente nelle mani degli interessati, favorendo il dilagare della corruzione e degli abusi in un paese dove le forze dell'ordine hanno la fama di non rispettare i diritti umani.
Inoltre, i soldi in questione sarebbero molti di più di quelli spesi dalla compagnia in beneficio alle popolazioni colpite delle sue attività fortemente inquinanti.
Quindi, la dichiarazione fatta dal gruppo stampa dell'azienda che afferma di investire quasi il 40% del suo budget da 1 milione di dollari per la sicurezza degli impianti in Nigeria, pare del tutto infondata.
Detto questo, pare che la Shell abbia grandi responsabilità rispetto alla guerriglia interna che persiste nello stato africano, dato che sembra intrattenere relazioni con le autorità fin dal 1995.
Le associazioni locali confermano, e ora la Shell non potrà fare altro che dare spiegazioni.
Fonte: Reuters


Read more: http://it.ibtimes.com/articles/34838/20120821/shell-nigeria.htm#ixzz24fP3HQiV

Uragani: Isaac punta su Florida; a Haiti 1 morto e 5000 evacuati.

Uragani: Isaac punta su Florida; a Haiti 1 morto e 5000 evacuati

(AGI) - Port-au-Prince, 25 ago. - Un morto e 5000 persone evacuate: e' questo il bilancio del passaggio su Haiti e sulla Repubblica Dominicana della tempesta tropicale Isaac che si sta ora dirigendo su Cuba per poi raggiungere domani, forse in veste rafforzata di 'uragano', la costa della Florida. Secondo il centro statunitense degli uragani la tempesta ora si troverebbe a circa 65 chilometri a est di Guantanamo e a circa 615 chilometri da Nassau, nelle Bahamas. Isaac ha toccato terra stamane a Haiti a ovest della capitale Port-au-Prince. Il Paese caraibico, ancora alle prese con le conseguenze del devastante terremoto del 2010, e' stato investito da venti da 110 chilometri orari e da piogge torrenziali. Il presidente haitiano, Michel Martelly, che ha annullato una visita in Giappone per seguire da vicino le conseguenze, ha visitato alcuni rifugi di Port-au-Prince per distribuire viveri e coperte e il governo ha assicurato di essere pienamente mobilitato per fronteggiare l'emergenza. Intanto la Florida, dove lunedi' a Tampa e' in programma la convention del partito repubblicano, ha dichiarato lo Stato di emergenza. Il vicepresidente americano Joe Biden ha gia' annullato la sua visita e al momento e' confermato solo il programma di martedi' in altre due citta' dello Stato-chiave del sud degli Usa, Orlando e St. Augustine, salvo "cambiamenti legati alle condizioni atmosferiche".

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201208251929-ipp-rt10103-uragani_isaac_punta_su_florida_a_haiti_1_morto_e_5000_evacuati

La ricetta di Stiglitz: combattere le disuguaglianze per far ripartire la crescita.


L’uscita dell’ultimo lavoro di Joseph Stiglitz, “The Price of Inequality: How Today’s Divided Society Endangers Our Future” (il prezzo della disuguaglianza: come la società divisa di oggi mette in pericolo il nostro futuro), è importante per due fondamentali motivi. Perché l’economista Nobel denuncia l’insensatezza delle politiche di austerità in un periodo di depressione come quello attuale, e perché punta il dito sugli effetti negativi delle disuguaglianze dei redditi sulla crescita del Pil, mostrando come negli Stati Uniti quest’ultimo aspetto sia divenuto tanto patologico da far diventare il mito del “sogno americano” solo un pallido ricordo.
Stiglitz torna ad intervenire sull’argomento sulle colonne del Los Angeles Times  puntando direttamente a chiarire che i problemi di sviluppo che le economie avanzate stanno oggi affrontando hanno una fondamentale radice: la debolezza della domanda aggregata. Ed è evidente che la porzione di reddito che viene spesa è più elevata nelle fasce più basse di reddito mentre diminuisce al crescere del reddito. La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi – che è aumentata ovunque, ma in alcuni paesi di più che in altri – è pertanto diventata un problema strutturale dello sviluppo delle economie avanzate.
Per queste sue evidenti implicazioni il concetto, prosegue Stiglitz, dovrebbe risultare immediato anche per i sostenitori dell’”economia dell’offerta” (supply-side economics), che individuano nella bassa produttività un importante freno alla crescita. Allo stesso tempo è necessario considerare che l’aumento delle disuguaglianze tra i redditi non è solo il risultato dell’operare delle cosiddette forze del mercato, ma anche l’esito inevitabile di comportamenti imprenditoriali che hanno premiato la ricerca di una rendita piuttosto che l’investimento produttivo. Meno investimenti produttivi e maggiori disuguaglianze nei redditi hanno dunque minato profondamente le prospettive di crescita delle economie avanzate. Un combinato disposto assolutamente esplosivo: non solo risulta indebolita la domanda aggregata, ma tendono anche ad indebolirsi i presupposti per la costituzione di una base produttiva ad alto potenziale di crescita, nella quale siano incorporati nuovi saperi ed innovazione. In un contesto nel quale investire equivale ad andare alla ricerca della miglior posizione di rendita finanziaria, anche il sistema del credito risulta distorto venendo a mancare quella fondamentale attività di prestito alle imprese per la realizzazione di investimenti nel settore dei beni reali.
Ora la questione cruciale che Stiglitz intende sottolineare è la seguente: far sì che gli investimenti tornino ai settori produttivi non è una operazione trascendentale. Sarebbero infatti necessarie una migliore regolamentazione finanziaria, migliori e più incisive leggi antitrust, una legislazione sulle imprese che limiti il potere dei grandi manager di fissarsi arbitrariamente le proprie retribuzioni, e nel complesso una maggiore trasparenza in tutti questi ambiti. Inoltre poiché la maggior parte del reddito delle fasce più alte della distribuzione deriva dai guadagni di operazioni puramente finanziarie e/o speculative, una tassazione maggiormente progressiva (ed in particolare una tassazione dei capital gains) sarebbe un utile deterrente. Peraltro, l’eventuale utilizzo da parte dello Stato dei maggiori introiti fiscali potrebbe trovare impiego in investimenti pubblici ad alta redditività, producendo in questo senso un duplice effetto positivo.
In generale i paesi che presentano un alto tasso di diseguaglianza tendono a disinvestire nel benessere collettivo, spendendo troppo poco rispetto a quanto dovuto in istruzione, innovazione ed infrastrutture. Ed oggi gli investimenti pubblici sono particolarmente importanti: aumentano la domanda nel breve periodo e la produttività nel medio termine. Rivolgendo l’attenzione agli Stati Uniti, Stiglitz inoltre sottolinea come proprio una ripresa dell’investimento pubblico nell’istruzione potrebbe riportare in auge il mito del “sogno americano”.
In sintesi: è necessario revisionare profondamente le priorità dell’agenda della politica economica, passando dall’obiettivo di riduzione del bilancio pubblico a quello di favorire una migliore distribuzione dei redditi. Gli effetti espansivi che si otterrebbero andrebbero inoltre a beneficio della stessa riduzione del deficit pubblico. E’ la bassa crescita a generare deficit di bilancio pubblico, non il contrario. E conclude: “Possiamo raggiungere il livello di ricchezza diffusa che ha caratterizzato le decadi dopo la Seconda Guerra Mondiale”.  Quei “30 anni d’oro” in cui hanno prevalso negli USA e nel resto del mondo politiche di stampo keynesiano.
Sullo stesso argomento, in italiano, si può leggere un articolo di Stiglitz pubblicato il mese scorso su Project Syndicate.

Orrore!



Ammessi, anzi richiesti, scongiuri di ogni tipo...

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Bruciati cento milioni nella falsa bonifica in Friuli nuovi guai per la Protezione civile. - Paolo Berizzi



Una "Maddalena bis" nella laguna, chiesti 14 rinvii a giudizio. E un commissario nominato da Bertolaso per l'inquinamento fantasma.

UDINE - Questa è la storia di una laguna che è diventata una mangiatoia. Una laguna malata e mai bonificata. Un buco nero di sprechi e veleni nel quale lo Stato ha annegato 100 milioni. È una storia di fanghi al mercurio e commissari indagati, di canali otturati e analisi creative. Per raccontare lo scandalo della laguna di Grado e Marano basterebbe dire come è iniziato e come sta (forse) finendo. È iniziato con uno stato di emergenza (3 maggio 2002, ministro dell'Ambiente era Altero Matteoli) e la nomina di un commissario da parte dell'allora boss della Protezione civile Guido Bertolaso (dall'anno dopo e fino allo stop di Monti si andrà avanti col sistema della deroga che ha causato le porcate del G8 e della ricostruzione post-terremoto dell'Aquila).

Lo scandalo sta finendo con la richiesta di rinvio a giudizio per 14 persone (tra commissari e soggetti attuatori; diversi i politici di entrambi gli schieramenti). Dovranno rispondere di peculato, omissione e truffa ai danni dello Stato. Non solo: si sta prefigurando anche il reato di disastro ambientale. Perché - ha scoperto Viviana Del Tedesco, il sostituto procuratore di Udine che indaga sulla vicenda e ha firmato le 40 pagine d'accusa - i lavori per l'eliminazione dei fanghi inquinanti ("un falso presupposto"), in questi dieci anni - ecco l'ulteriore beffa - hanno provocato, a loro volta, seri danni alla laguna. "Sia alla morfologia che all'ecosistema". Per la serie: non bastava sprecare 100 milioni per non risolvere un problema; bisognava anche aggravarlo. 
Un pasticcio all'italiana. Con tutti gli ingredienti al loro posto e qualche chicca... 

Per esempio l'immancabile cognato (indagato) di Bertolaso, quel Francesco Piermarini esperto di cinema ma anche di bonifiche, ma forse più di cinema se dopo il flop della Maddalena (72 milioni per ripulire i fondali che però sono ancora pieni di idrocarburi) l'hanno imbarcato (47mila euro) anche in questa folle operazione nell'Alto Adriatico finita nella maxi-inchiesta della procura di Udine. L'hanno chiamata, non a caso, "finta emergenza del Sin" (sito inquinato di interesse nazionale, la laguna appunto). In origine è lo stabilimento Caffaro di Torviscosa. La Caffaro sta alla chimica come l'Ilva sta all'acciaieria. Fondata nel 1938 alla presenza di Mussolini come sede produttiva del gruppo "Snia Viscosa", più di 25mila tonnellate di prodotti venduti ogni anno. Adesso l'azienda è chiusa (il gruppo Snia è in amministrazione straordinaria). Per anni, però, la Caffaro ha sputato veleno. Fango al mercurio trascinato in laguna dai fiumi Aussa e Corno. Il risultato è che lo specchio d'acqua antistante lo stabilimento si è riempito di metalli. I canali (cinque) si sono intasati rendendo sempre più difficile la navigazione e mandando su tutte le furie le marinerie di Aprilia Marittima (si costituiranno parte civile assieme a Caffaro). "Era chiaro fin da subito che l'inquinamento riguardava solo una minima parte della laguna di Grado e Marano  -  osserva il pm Del Tedesco  - . Ma qualcuno ne ha approfittato". 

È il 2001, iniziano le sorprese. La commissione fanghi nominata dalla Regione deposita un progetto definitivo per i drenaggi di tutti i canali. Lo studio viene consegnato il 28 febbraio 2002. Resterà nel cassetto per dieci anni. Due giorni fa la Guardia di finanza di Udine va a prenderlo a Trieste negli uffici della Regione. Una scoperta "interessante". Per due motivi: primo, il 3 maggio del 2002  -  tre mesi dopo il deposito della ricerca  -  il ministero dell'Interno decreta lo stato di emergenza. Che manda il progetto in soffitta. Secondo: il piano "dimenticato" dalla Regione (quanto è costato?) prevedeva di rimettere i fanghi tolti dai canali in laguna (come si fa dai tempi della Serenissima) e non certo, come si è deciso dopo, di portarli a Trieste o a Venezia, o stoccarli come rifiuti speciali in vasche di colmata che cadono a pezzi. Perché si sono scordati del progetto? La risposta ce l'hanno i magistrati. "Hanno voluto e poi cavalcato lo stato di emergenza per abbuffarsi di incarichi, consulenze, nomine, poltrone ". Un valzer costato 100 milioni in dieci anni. I commissari che si avvicendano sono tre. Il primo (giugno 2002) è Paolo Ciani, consigliere e segretario regionale di Fli, già assessore all'ambiente.

In Regione, e infine a Gianni Menchini, geologo vicino all'assessore pidiellino Riccardo Riccardi.
L'anno scorso il premier Monti, d'accordo col ministro Corrado Clini e con il nuovo capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, decide che può bastare: stop al commissario della laguna. I fari della magistratura sono già accessi. Il prosciugamento del denaro pubblico è iniziato con le analisi dei fanghi. Costate 4 milioni, si rivelano inutili perché mai validate da nessun organismo pubblico. I carotaggi vengono affidati alla Nautilus, un'azienda calabrese all'epoca sprovvista del certificato antimafia. Poi arrivano gli altri "investimenti". Gettati, è il caso di dire, nel fango. Vasche di raccolta e palancole (paratie di ferro) garantite 64 anni che a distanza di sei anni stanno crollando (il metallo si sbriciola e inquina la laguna). I commissari ottengono strutture da 30 persone, gli stipendi schizzano da 5 a 11mila euro al mese. Una bengodi per tecnici e soggetti attuatori. 

Una piccola Maddalena, con la sua cricca. Persino grottesche alcune iniziative messe in campo: dopo il decreto dello stato di emergenza per inquinamento ambientale, all'Università viene commissionato uno studio di fattibilità per installare un'attività di allevamento di molluschi nella stessa laguna. In tutto questo non può mancare la ciliegia sulla torta: al netto dei 100 milioni spesi, l'area Caffaro  -  secondo alcuni l'unica inquinata, secondo altri l'epicentro della presunta pandemia dell'intera laguna (1600 ettari)  -  , non è stata mai bonificata. È il colmo. La giunta regionale tace. Sulla vicenda l'unica a martellare è l'emittente televisiva locale "Triveneta". Intanto i magistrati vanno avanti. Malata curabile, immaginaria o terminale, per la laguna gli orizzonti sono sempre meno blu.

Ignazio La Russa in 'Sbatti il mostro in prima pagina'.



"Questa manifestazione vuole dimostrare che è possibile battere il comunismo, che è possibile battere i nemici dell'Italia. E che insieme lo faremo". La Russa arringa la folla in un comizio della Maggioranza Silenziosa poi utilizzato dal regista Marco Bellocchio per il suo film del 1972.

Paolopietro Rossi su fb dice:

Il Cabaret del TALEBANO..(Anno DOMINI 1972)
ovvero, lo scoppiettante Ignazio che aizza e la cui comicita' e' platealmente carente, malgrado gli sforzi ed i suggerimenti dal mondo del caleidoscopico Fiorello.....Ahh ahh ahh ahh


Ironizzando...



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A Bacoli vince «il fai-da-te» la spiaggia la puliscono i bagnanti.



NAPOLI - A Bacoli alla loro spiaggia ci tengono. Ed anche molto. Con sistematica periodicità puliscono la sabbia ma anche il mare. Una azione che ha consentito ai residenti di conquistare il premio «Cittadini attivi estate 2012» 
Hanno pulito mare e spiagge ma anche la pista ciclabile. Il premio è stato assegnato dai Verdi Ecologisti guidati dal commissario Francesco Emilio Borrelli allì'associazione e blog Freebacoli.

Nella sola ultima settimana - spiega Borrelli - ci sono state due iniziative estremamente lodevoli. La prima promossa da Adelaide Di Meo, insegnante di materie letterarie presso il Liceo "Lucio Anneo Seneca" di Torregaveta è stata promotrice dell'ennesimo episodio di "cittadinanza attiva" capace di dare fiato all'apatia collettiva che da troppo tempo contraddistingue la comunità flegrea.

I cittadini bacolesi coadiuvati da alcuni extracomunitari che spontaneamente hanno preso parte all'operazione di pulizia, sotto gli occhi esterrefatti di molti cittadini che transitavano, hanno raccolto ventidue sacchi grandi di spazzatura per pulire il viale di ingresso della pista ciclabile, ormai impraticabile per la discarica a cielo aperto. Le buste sono state acquistate dagli stessi cittadini. «Sempre i bacolesi - continua Borrelli - con il supporto di Freebacoli hanno anche raccolto diversi quintali di "monezza", che da qualche giorno imbrattavano il litorale, rimossi dopo qualche ora di puro volontariato svolto prevalentamente dai residenti». 

Le buste riempite da spazzatura, oltre una quindicina, sono state poi trasportate verso l'area di Casevecchie, per poiconfluire all'interno dei capannoni dell'Avino al Fusaro, tutt'oggi utilizzati per il servizio di raccolta differenziata gestito dalla Flegrea Lavoro. Ennesimo esempio di "cittadinanza attiva" con altre pulizie che si sono ripetute anche in altre spiagge libere del comune durante tutta l' estate.


http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=215697&sez=CARA_SPIAGGIA

Casoria - Centro anziani ristruttutrato da disoccupati e volontari.



articolo Il MATTINO del 25 AGOSTO 2012
 


Guardia giurata uccide ladro di merendine. - Rinaldo Frignani


L'omicidio nell'ospedale di Anzio. Il vigilante ha sorpreso un 48enne vicino al distributore: «Colpi partiti per sbaglio».

I distributori davanti ai quali il vigilante ha visto il 48enne (Proto)I distributori davanti ai quali il vigilante ha visto il 48enne (Proto)
ROMA - Ancora spari e morti alle porte di Roma. Venerdì notte una guardia giurata di 45 anni ha sorpreso un 48enne vicino ai distributori di bevande e merendine nel padiglione Faina dell'ospedale di Anzio. Dalla sua pistola sono partiti due colpi che hanno ucciso il presunto ladro. L'agente, che lavora all'interno dell'ospedale, è stato arrestato su ordine della procura di Velletri. La polizia ha sequestrato la pistola mentre sabato mattina il pm di turno ha eseguito un sopralluogo nell'ospedale.
Anzio, vigilante uccide il ladro di merendineAnzio, vigilante uccide il ladro di merendine    Anzio, vigilante uccide il ladro di merendine    Anzio, vigilante uccide il ladro di merendine    Anzio, vigilante uccide il ladro di merendine    Anzio, vigilante uccide il ladro di merendine
Le macchie di sangue sul muretto (Proto)Le macchie di sangue sul muretto (Proto)
«PER SBAGLIO» - Il vigilante avrebbe riferito, in un primo momento, che i colpi sarebbero partiti per sbaglio. Per il 48enne non c'e' stato niente da fare nonostante i soccorsi immediati dei medici. Gli investigatori indagano per chiarire la dinamica dei fatti e trovare riscontri alla versione della guardia.

GLI SPARI E LA FUGA 
- Sul retro del reparto sono state trovate evidenti tracce di sangue, in particolare su un muretto e su un'inferriata che dividono l'ospedale dalla strada. Secondo una prima ricostruzione, dopo essere stato ferito, il 48enne è riuscito comunque a fuggire e a scavalcare il muro, ma poi ha percorso solo poche decine di metri prima di accasciarsi al primo incrocio vicino ad un semaforo. Non è 
ancora chiaro come la vittima fosse riuscita ad entrare negli ambulatori che di notte sono chiusi ed allarmati. Ma è stato proprio l'impianto di allarme, scattato poco dopo mezzanotte, a segnalare la presenza di un intruso in ospedale: la guardia giurata, sposata con figli, si è precipitata nel reparto dove ha sorpreso il 48enne.

Monti, l’agenda del governo e i 12 miliardi di euro da trovare per la crescita. - Marco Palombi




La recessione più dura del previsto, lo stato del debito pubblico e gli interessi sui titoli rischiano di far peggiorare il rapporto tra deficit e pil. Allontanando le promesse dell'esecutivo - taglio delle tasse, cuneo fiscale, piano giovani, agenda digitale - e avvicinando la necessità di completare con urgenza la spending review.

Pronti a tagliare l’Irpef. Anzi no, abbasseremo le tasse sul lavoro. Poi facciamo il piano per i giovani con un po’ di soldi pure le coppie (sempre giovani, va da sé) e quello per gli aeroporti e un altro per le infrastrutture che genera 80 miliardi di investimenti dice il ministero dello Sviluppo. Finito? Macché. Ci sono l’Agenda digitale che sta sempre per arrivare (d’altronde c’è già la cabina di regia, come potrebbe non essere fatta) e gli incentivi per le start up. E poi fondi per i poveri, riqualificazione delle città, efficienza energetica e via spendendo. Il governo agostano è pieno di promesse e progetti faraonici, per cui servirebbero, a spanne, qualche decina di miliardi di euro.
Purtroppo al Tesoro non piacciono nemmeno le promesse da marinaio e dalle parti di Vittorio Grilli hanno messo subito a verbale un lapidario: “Non c’è un euro”. Incidentalmente si potrebbe notare che il ministro che fu voluto a via XX Settembre da Giulio Tremonti ormai ha assunto in questo esecutivo il ruolo del suo mentore nel precedente: dire di no ai colleghi. D’altronde, come vedremo, effettivamente, “non c’è un euro”. Le ragioni sono diverse, ma si riconducono ad una sola: le difficoltà a cui va incontro la nostra economia dentro la moneta unica sono rese quasi insormontabili dalle politiche recessive imposte all’Europa mediterranea dal Fiscal compact.
Risultato: i conti pubblici italiani non sono affatto “in ordine”. Ecco alcuni numeri. 
Le previsioni. Secondo i numeri scritti dal governo nel Documento di economia e finanza (Def), il rapporto deficit/Pil sarà all’1,7% quest’anno e allo 0,5% nel 2013, che – tradotto per il ciclo: cioè tenendo conto di congiuntura economica e tendenza – vuol dire deficit zero. Mission accomplished. Per ottenere questo risultato, però, il governo ha dovuto stabilire anche quale sarebbe stato il livello del Prodotto interno lordo: secondo Monti, il Pil italiano diminuirà dell’1,2% quest’anno per tornare a crescere, anche se di poco, l’anno prossimo (+0,5%). Se cambia uno dei due numeri, cambia tutto e qui rischiano di cambiare tutti e due. Perché? Semplice.
La recessione. L’economia italiana è in stato di glaciazione, tutte le previsioni di questi mesi prevedono un andamento negativo assai peggiore di quello scritto nel Def dall’attuale esecutivo. Bankitalia stima un prudente -2%, il Fondo monetario internazionale sostiene che cadremo del 2,3%, il tendenziale di Eurostat dopo i primi due trimestri dice -2,5%, altri come l’ex ministro Tremonti sostengono che si arriverà almeno al -3%. Lo stesso Vittorio Grilli, pudicamente, ha sospirato “io direi un po’ meno del 2%”, il che significa che il governo dovrà correggere le sue previsioni nella legge di Stabilità ad ottobre. Gli effetti. Poniamo che il Pil cali alla fine del 2,2%, un punto in più di quanto scritto dal governo, una stima assolutamente prudenziale: in questo caso non solo diminuisce il denominatore (il Pil), peggiorando dunque il rapporto, ma peggiora anche il numeratore (deficit) visto che meno ricchezza vuol dire meno entrate per lo Stato. In genere si calcola che ogni punto di prodotto interno perso si traduca in un peggioramento di mezzo punto nel rapporto deficit/Pil: vuol dire che nel 2013, sempre che cresciamo davvero dello 0,5% come crede Mario Monti, saremo all’1% di disavanzo tondo anziché allo 0,5.
Gli effetti degli effetti. Volendo intervenire per correggere questi squilibri, i tecnici dovrebbero dunque trovare per strada poco meno di otto miliardi dal lato della spesa pubblica o un po’ di più se volessero aumentare le tasse (perché andrebbero scontati gli effetti recessivi di questo tipo di intervento). Per di più, qui una quantificazione è più difficile, va ricordato che una recessione economica comporta anche maggiori esborsi in strumenti di sostegno al reddito come la cassa integrazione e simili. Non a caso quando la Germania fece le famose riforme, espulse dal lavoro alcuni milioni di persone e sforò per prima il vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil proprio per pagare i sussidi.
L’Iva. Parecchi se ne dimenticano, ma se il governo non trova sei miliardi nella prossima manovra, a giugno prossimo l’imposta sul valore aggiunto aumenterà di un punto sulle due aliquote principali (10 e 21%).
Il debito. Il rendimento dei titoli di stato – contrariamente a quanto pensava Monti quando si presentava con le tabelle della caduta dello spread alle conferenze stampa – per i decennali è stabilmente vicino al 6%, mentre per quelli a breve termine è effettivamente migliorato rispetto ai tempi bui del novembre 2011. Le previsioni sul servizio del debito (sostanzialmente quanto paghiamo di interessi) dicono 85 miliardi: le aveva fatte Giulio Tremonti a settembre, Monti azzardò un 94 miliardi a dicembre, ma alla fine andrà come aveva sostenuto il primo. Senza risparmi apprezzabili per il bilancio pubblico, comunque.
Riassumendo. Prima di tagliare le tasse, rifare il sistema infrastrutturale e distribuire soldi agli affamati, Monti e soci devono trovare 12-15 miliardi, all’ingrosso un punto di Pil, da destinare al mancato aumento dell’Iva di giugno e alla sterilizzazione degli effetti della recessione sui conti pubblici. Più che alla crescita, insomma, il governo dovrà dedicarsi alla seconda fase della spending review per portare i risparmi dalla carta alla realtà.
da Il Fatto Quotidiano del 25 agosto 2012

E’ morto Neil Armstrong, il primo uomo ad andare sulla Luna.


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Aveva 82 anni. Al momento dello sbarco il 20 luglio del 1969 disse: "E' un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l’umanita". Comandante della missione Apollo 11, aveva subito un intervento chirurgico di quadruplo bypass coronarico lo scorso 7 agosto.

Per lui lo sbarco era stato “un piccolo passo per un uomo e un balzo da gigante per l’umanita”. A 43 anni dalla missione Apollo 11, è scomparso all’età di 82 anni Neil Armstrong, l’astronauta che il 20 luglio del 1969 mise piede per primo sulla Luna. E’ morto a 18 giorni da un intervento chirurgico di quadruplo bypass coronarico a cui si era sottoposto lo scorso 7 agosto, due giorni dopo il suo compleanno. Alla vigilia dell’operazione, un esame medico aveva rivelato la parziale occlusione nelle arterie che portano il sangue il cuore.
“Se la missione chiamata Apollo 11 avrà successo, l’uomo realizzerà il sogno, inseguito a lungo, di camminare su un altro corpo celeste”, aveva detto la Nasa nel ’69 per introdurre la prima missione spaziale che avrebbe portato l’uomo sulla Luna. L’aveva presentata ai giornalisti arrivati a Cape Canaveral (Florida) per seguire il lancio del Saturno V che portava nello spazio Armstrong, il comandante della missione, il pilota del modulo di comando Michael Collins e il pilota del modulo lunare, Edwin Aldrin, più noto come Buzz. Armstrong e Aldrin erano gli astronauti destinati a camminare sulla Luna. Con i suoi 110 metri di altezza, un diametro di dieci metri e pesante oltre 2.000 tonnellate, il Saturno V era un gigante silenzioso sulla rampa di lancio 39A del Kennedy Space Center; la navetta Apollo con i tre uomini era rannicchiata sulla sommità.
Era il simbolo di un’America decisa ad accaparrarsi il primato più importante della sua più che decennale corsa allo spazio contro l’Unione Sovietica. Nel 1957 l’Urss aveva stupito il mondo con il “bip” del primo satellite artificiale, lo Sputnik, l’anno successivo aveva spedito il primo essere vivente nello spazio, con la cagnetta Laika a bordo dello Sputnik 2. Ed erano sovietiche anche le sonde Luna lanciate a partire dal 1959 per studiare la superficie della Luna e il suo lato nascosto. IlSaturno V, con la navetta Apollo e il suo equipaggio, vennero lanciati in perfetto orario mercoledì 16 luglio 1969 e arrivarono nell’orbita lunare sabato 19 luglio. Domenica 20, mentre Collins restava sul modulo di comando, chiamato Columbia, Armstrong e Aldrin entravano nel modulo lunare, chiamato Aquila.
Alla 13esima orbita lunare i due moduli si separarono e Aquila accese i motori per cominciare la discesa. In tutto il mondo oltre 500 milioni di persone seguivano dalle tv ogni fase della missione col fiato sospeso. Mentre il modulo Aquila sorvolava la zona rocciosa del Mare della Tranquillità, Armstrong decise di passare ai comandi manuali e alle 22.17 (ora italiana) comunicò al centro di controllo: “Aquila è atterrata”. Poi il comandante rinunciò alle quattro ore di riposo previste, aprì il portello e scese dalla scaletta. Arrivato all’ultimo gradino disse: “E’ un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l’umanità”. A distanza di 18 minuti scese Aldrin. “Quell’esperienza è stata così breve e abbiamo lavorato a un ritmo così serrato che quasi tutti i miei ricordi li devo alle foto e ai video”, dirà Aldrin a distanza di molti anni da quell’esperienza unica.
Nelle due ore e mezza trascorse sulla Luna i due astronauti lavorarono per raccogliere 22 chilogrammi di rocce lunari, ma sono indimenticabili le immagini delle prove che i due, protetti dalle immense tute bianche e dai caschi, facevano per scoprire l’andatura ideale per spostarsi sul suolo lunare: piccoli passi, brevi corse, saltelli. Poi alzarono la bandiera americana, tenuta dispiegata da un’asta orizzontale, e lasciarono sul suolo lunare la targa con le tre firme dell’equipaggio e quella dell’allora presidente Richard Nixon: “Qui nel luglio 1969 misero per la prima volta piede sulla Luna uomini venuti dal pianeta Terra. Siamo venuti in pace per l’intera umanità”.