domenica 22 gennaio 2017

Il processo sull’hotel Rigopiano, da casolare a resort di lusso. Politici arrestati per corruzione e poi assolti.



Processo concluso lo scorso novembre: il pm sostenne la corruzione per l’ampliamento della struttura oggi colpita dalla slavina. Per i giudici di primo grado il fatto non sussiste, ora i reati sono prescritti.

Il sospetto di un abuso edilizio e un processo per corruzione conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati perché “il fatto non sussiste”: è questo il prequel della tragedia che si è verificata alle pendici del Gran Sasso, a causa di una slavina – si sospettano morti tra gli ospiti e il personale – abbattutasi sull’hotel Rigopiano, nel comune di Farindola.
La vicenda ha inizio nel 2008, quando il pm della procura di Pescara, Gennaro Varone, sulla base di indagini e intercettazioni telefoniche nell’ambito di un’inchiesta denominata Vestina, ipotizzava un passaggio di denaro e posti di lavoro in cambio di un voto favorevole per sanare l’occupazione abusiva del suolo pubblico.

La presunta corruzione e l’assoluzione dell’ex sindaco

Il presunto abuso riguardava proprio l’ampliamento della struttura, che in origine era un casolare, per la realizzazione dell’attuale hotel a quattro stelle, gestito dalla società Del Rosso e in seguito ceduto alla Gran Sasso Resort. A processo, nel 2013, finirono sette persone tra cui l’ex sindaco del paesino in provincia di Pescara, Massimiliano Giancaterino, il suo successore alla guida del comune Antonello De Vico e all’epoca consigliere comunale. Inoltre rimasero coinvolti i due ex assessori Ezio Marzola e Walter Colangeli, l’ex consigliere Andrea Fusaro e gli imprenditori Paolo Marco e Roberto Del Rosso.
Il fatto oggetto del processo risale al 2008
Secondo l’accusa, l’allora sindaco, assessori e consiglieri avevano votato a favore della delibera del 30 settembre di quell’anno finalizzata a “sanare l’occupazione abusiva di suolo pubblico da parte della società Del Rosso”, è scritto in un articolo del Centro di pescara dell’epoca, in ‘area fino ad allora adibita a pascolo del bestiame e compresa in un’area naturalistica protetta. Scrive Lacerba (giornale locale di Penne), citando la procura, che “l’autorizzazione a sanatoria si basava sul presupposto che detta occupazione non costituisse abuso edilizio per mancata, definitiva trasformazione del suolo”. Secondo quanto sosteneva il pm, Giancaterino e De Vico in cambio della delibera avrebbero incassato la “promessa di un versamento di denaro destinato al finanziamento del partito” di appartenenza (il Pd) e, in particolare, il secondo avrebbe ottenuto “il pagamento di 26.250 euro” che, dice ancora l’accusa, andava ad “adempimento parziale di un debito pregresso ma inquadrabile nel rapporto corruttivo”.

“Soldi per il partito e assunzioni nel resort”

Il pm sostenne inoltre che come merce di scambio per quella delibera favorevole, i consiglieri e gli assessori del tempo avessero ottenuto dai titolare della società Del Rosso anche “assunzioni preferenziali per i propri protetti”. L’ex sindaco di Farindola nel corso del processo aveva sempre respinto l’accusa di corruzione, ottenendo ragione dal giudice che lo scorso novembre ha emesso la sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Il reato era comunque prescritto già nell’aprile del 2016, ragion per cui questa sentenza non potrà essere appellata. Le motivazioni della sentenza non sono state ancora depositate.

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